TECNICA TRADIZIONALE, MININVASIVA E PERCUTANEA PBS®
Per fare la scelta giusta, è fondamentale conoscere i pro e contro delle diverse tecniche utilizzate per curare le patologie dell’avampiede.
La medicina è una scienza e, come tale, si evolve.
Nel nostro campo, quello della chirurgia del piede, si è evoluta notevolmente, specialmente nel rispetto del paziente.
La tecnica tradizionale o classica, detta anche open, viene tutt’oggi utilizzata per i pazienti che necessitano di mezzi di sintesi per stabilizzare la correzione dell’alluce.
Solitamente viene effettuata in anestesia epidurale o con blocco del popliteo, per questo è ritenuta abbastanza invasiva per il paziente.
Il post operatorio di questa tecnica prevede una scarpa Talus che permette di appoggiare solo il calcagno proprio per evitare l’appoggio dell’avampiede. La prognosi si aggira attorno ai 5-6 mesi. Sicuramente, il fattore maggiormente contro questa tecnica risiede nell’invasività: l’intervento prevede una vera e propria apertura- da qui il nome open- dell’articolazione che necessita tagli importanti dei tessuti molli. I mezzi di sintesi, le viti o le placche, rimangono all’interno dell’articolazione e il paziente dovrà conviverci per tutta la durata della sua vita, a meno che non ci siano rotture del mezzo stesso o spostamenti causati da altri eventi. In aggiunta, introdurre mezzi di sintesi predispone anche a complicanze maggiori dovute alle infezioni di osteomieliti o osteonecrosi.
La tecnica mininvasiva sec Bosch o PDO o SERI è un’evoluzione della tecnica tradizione.
Prevede incisioni minori rispetto alla tecnica tradizionale, tagli di 1/1.5 cm, ma anche in questo cosa l’uso dei mezzi di sintesi, in particolare di fili di Kirschner, sono indispensabili per mantenere in asse la frattura.
Anche in questo caso l’anestesia è con blocco del popliteo.
La prognosi si aggira attorno ai 4-5 mesi e nel post operatorio, come nella tecnica tradizionale, si ha l’uso della scarpa Talus.
Per questa tecnica sono leggermente minori l’invasività- da qui il suo nome- e il dolore, ma esse necessita un secondo intervento a 30-40 giorni dal primo per estrarre i fili usati nella prima operazione.
Un grande ruolo, quindi, lo gioco lo stress da parte del paziente che dovrà affrontare due interventi in un arco di tempo molto breve.
Essa consiste in un’evoluzione dell’originaria tecnica percutanea utilizzata per lievi valgismi, ed è chiamata tecnica percutanea PBS® della quale sono co fondatore insieme al Dott. Andrea Bianchi e al Dott. Lorenzo Fonzone Caccese.
Il metodo PBS®, grazie a un numero elevato di operazioni effettuate, si è perfezionato così tanto da poter essere utilizzato per ogni tipologia di valgismo e problematica del piede.
Le differenze principali rispetto alle precedenti tecniche sono:
- l’assenza di tagli: essa prevede solo piccoli fori millimetrici che vengono chiusi con punti riassorbibili;
- la quasi completa inesistenza di cicatrici come più volte dimostratovi nelle foto e nei video pubblicati sui miei social.
La vera novità di questa tecnica, però, consiste nel non fare utilizzo dei mezzi di sintesi (forse per questo motivo molto criticata da direttori di aziende che producono mezzi di sintesi).
Inoltre, si differenzia dalle tecniche sopra citate per l’uso dell’anestesia locale oppure con il blocco di caviglia regionale.
Il post operatorio prevede una scarpa piatta da usare massimo 20 giorni che consente al paziente di camminare fin da subito appoggiando completamente il piede.
Ad oggi i numeri sono davvero importanti per poter confermare che la tecnica percutanea PBS® è sicuramente la scelta migliore per il paziente per la sua ridotta invasività, per l’assenza quasi completa di dolore e, soprattutto, per la riduzione del rischio di infezioni grazie all’assenza di tagli e mezzi di sintesi.
Con questa tecnica la prognosi si aggira intorno ai 2-3 mesi. Naturalmente, la guarigione fisiologica dell’osso non si può accelerare ma il paziente, già dopo la prima medicazione a 15-20 giorni dall’intervento, può riprendere ad indossare calzature proprie a patto che siano comode.
Una complicanza comune per tutte le tecniche sono le recidività: problemi di calcificazioni o di rigidità dell’alluce.
Quindi qual è la scelta migliore da fare per operare l’alluce valgo non posso certo dirla io, sarei davvero troppo di parte!
Mi sento, però, di dire che la scelta migliore è quella che il paziente riterrà migliore per le sue personali esigenzeche molto spesso nascono dal rapporto che si instaura con il professionista e la fiducia che quest’ultimo riesce a inspirare.


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